Nani

I nani sono figure divine minori della mitologia norrena. Inani (dvergar) possiedono il talento nella creazione di oggetti preziosi, l’abilità, la destrezza e l’ambiguità morale. I nani compaiono in molte storie importanti, come quella che narra della forgiatura del martello di Thor, o quella sul tesoro del drago Fafnir. Influenzati dal folklore e dalla cultura popolare più recenti, tendiamo a immaginare i nani ed altre creature soprannaturali come dotati di caratteristiche ben precise, che li rendono facilmente riconoscibili. Tuttavia, per i norreni pagani la differenza tra le varie creature doveva essere molto meno netta. Dovremmo poi ricordare che, accanto ai nani, lo spazio immaginario era popolato anche dai landsvættir, spiriti della terra che potevano aiutare o maledire i viaggiatori; le valchirie, che aiutavano Odino a scegliere i guerrieri più valorosi per la sua sala, il Valhalla; i disir, una sorta di spiriti guardiani; i troll, termine usato per descrivere spiriti malvagi o magici abitatori delle montagne; e persino creature non-morte chiamate draugar.

Una leggenda dolomitica, quella del re Nanico Laurino, è utile per esemplificare il passaggio, avvenuto grossomodo nel tredicesimo secolo, del Nano da creatura mitica, di cui ho parlato sinora, a essere grottesco, mostro da usare come buffone di corte.
Narra la leggenda che sul massiccio del Catinaccio, chiamato in tedesco Rosengarten, vivesse un tempo un potentissimo e ricchissimo re e stregone, il nano Laurino. Egli abitava in una reggia scavata nella  montagna, davanti alla quale si stendeva un magnifico roseto. Laurino rapì la bella principessa Similde per farne la sua sposa. Per liberarla si mosse Teodorico di Verona, re degli Ostrogoti, che, arrivato al Catinaccio, identificò facilmente la residenza di Laurino grazie allo splendido giardino di rose. Teodorico combatté contro re Laurino e riuscì a batterlo, malgrado il nano avesse una cintura che gli dava la forza di molti uomini e avesse poi indossato un cappuccio che donava l’invisibilità. Similde fu quindi liberata e Laurino fu portato a Verona come prigioniero, per diventare lì il giullare di corte e impressionare gli astanti con i suoi giochi di prestigio (per maggiori dettagli su questa leggenda rimando a C. F. Wolff, “Re Laurino e il suo roseto”, Athesia, 2006).

Un rifiorire d’interesse per i Nani o, più precisamente, per le fiabe e le leggende si ebbe dal diciannovesimo secolo, con le ricerche sul folklore iniziate in Germania dai fratelli Grimm e poi riprese da altri studiosi in diversi paesi. Ma è con Tolkien, e con il successivo sviluppo della letteratura fantasy, che il Nano tornerà popolare. Non sarà più una creatura superumana, quasi di un’altra dimensione, come i dvergar norreni, ma una delle razze che abita il mondo. I primi scritti di Tolkien riguardo ai Nani si trovano nei due volumi di Racconti Perduti Racconti Ritrovati. In essi i Nani sono creature malvagie, come mostra questo passo sul sire dei Nani di Belegost che: “Raccolse intorno a sé una grande schiera di orchi e di diavoli erranti, promettendo loro una buona paga e per di più la soddisfazione del loro Padrone, e alla fine un ricco bottino: e li equipaggiò tutti con le proprie armi.”

Già in questi primi scritti i Nani hanno caratteristiche che rimarranno per tutto il legendarium: la loro bruttezza fisica, le lunghe barbe, la loro meravigliosa capacità di modellare il metallo, la capacità di commerciare e la lenta crescita demografica . I Nani si riproducono poco, e non certo perché nascano dalla pietra, ma perché le donne Nane, indistinguibili dai maschi (per le altre genti), talvolta desiderano qualcuno che è già sposato oppure che non ha intenzione di sposarsi, essendo troppo preso dal proprio lavoro. Dagli anni ’30 negli scritti di Tolkien i Nani diventano creature non necessariamente malvagie, ma nemmeno troppo affidabili, interessate solo al profitto e pronte a commerciare tanto con gli Elfi che con gli Orchi: “In quei tempi i fabbri di Nogrod e Belegost erano occupati a forgiare maglie e spade e lance per molti eserciti, e molte delle ricchezze e dei gioielli degli Elfi e degli Uomini presero per sé, malgrado non scendessero in guerra. Perché non sappiamo chi abbia ragione – dicevano – e non siamo amici di nessuna parte, fino alla sua vittoria.” (da “The Shaping of Middle Earth”, Harper Collins, 1986, pag. 116)

Anche ne Lo Hobbit troviamo delle informazioni sui Nani.
Scrive Tolkien: “Il massimo che si possa dire in favore dei nani è questo: essi intendevano veramente ripagare Bilbo in modo splendido per i suoi servigi; lo avevano assoldato per compiere un lavoro pericoloso per conto loro e non gliene importava niente del povero piccoletto che lo faceva, purché lo facesse; ma avrebbero tutti fatto del loro meglio per toglierlo dai guai, se ci fosse capitato in mezzo, come era avvenuto nel caso degli Uomini Neri all’inizio delle loro avventure, quando ancora non avevano nessun motivo particolare per essergli riconoscenti. Questo è il punto: i nani non sono eroi, bensì una razza calcolatrice con un gran concetto del valore del denaro; alcuni sono una massa infida, scaltra, e pessima da cui tenersi alla larga; altri non lo sono, anzi sono tipi abbastanza per bene come Thorin e compagnia, sempre però che non vi aspettiate troppo da loro.” (da “Lo Hobbit annotato”, RCS Quotidiani, 2005, pag. 266)

Insomma, non sembrerebbero personaggi particolarmente positivi.
Questa concezione così negativa dei Nani visti, nel migliore dei casi, come una razza calcolatrice viene cambiata radicalmente ne Il Signore degli Anelli.

Ne Il Silmarillion molto altro è detto sui Nani.
Viene narrato come siano stati creati da Aule il Fabbro, per il suo desiderio di avere dei discepoli cui insegnare. Ma, appena ebbe creato i Nani, si pentì di questa sua azione; pronto a distruggere le proprie creature, le vide fuggire e chiedere pietà, perché Iluvatar, il creatore dell’Universo, le aveva accettate come suoi figli, dando loro il libero arbitrio.
Nello stesso capitolo Tolkien descrive i “suoi” Nani: “Poiché erano destinati a giungere nei giorni del potere di Melkor, Aulë rese i Nani forti e resistenti. Per questo sono duri come la pietra, testardi, rapidi a stringere amicizia e a scatenare ostilità, e sopportano la fatica e la fame e il dolore fisico con più fermezza di ogni altro popolo dotato di parola; e vivono a lungo, ben più degli Uomini, eppure non per sempre.”
(da “Il Silmarillion”, RCS Quotidiani, 2005, pag. 69-70)

Sauron stesso si rese conto della potenza dei Nani e cercò di dominarli, donando ai signori dei Nani Sette Anelli del Potere: “In verità, i Nani si rivelarono tenaci e difficili da domare; essi mal sopportano il dominio di altri e i pensieri dei loro cuori sono difficili da sondare, né possono essere trasformati in ombre. I Nani si servirono dei propri anelli soltanto per accumulare ricchezze; ma nei loro cuori si accesero l’ira e un’incontrollabile brama per l’oro, da cui derivò poi sufficiente male a vantaggio di Sauron.”
(da “Il Silmarillion”, RCS Quotidiani, 2005, pag. 337)

L’origine dei nani
Nella tradizione popolare, i nani sono generalmente associati all’artigianato, all’attività mineraria, alle montagne e alla terra, ed il loro aspetto fisico non è molto attraente. Si deduce che fossero bassi grazie all’uso della frase “dvergr of voxt”, “basso come un nano”. I dvergar possono mutare forma e diventare molto aggressivi. Ci sono pochi riferimenti nelle fonti norrene su altre caratteristiche fisiche; ciò che li ha resi celebri è la loro abilità nella forgiatura. Troviamo alcuni dettagli sulla loro origine nel poema della creazione Völuspá, il primo dell’Edda poetica, raccolta di poemi norreni risalente al XIII secolo. Nella nona strofa, gli dei si riuniscono per decidere chi avrebbe guidato i nani “fuori dal sangue di Brimir e dalle gambe di Blain” (Hildebrand, 16), due nomi probabilmente sinonimi di Ymir o della sua carne.

Nella decima stanza troviamo i nomi di due nani apparentemente potenti, Motsognir e Durin, ma viene spiegato ben poco su di loro, così come sugli altri nani elencati nella lista che segue fino alla sedicesima stanza, il Dvergatal in norreno antico. J.R.R. Tolkien usò questa lista come ispirazione, in particolare il nome Gandalfr (“elfo magico”, quindi non nano) e Eikinskjaldi. Inoltre, anch’egli descrive i nani come il popolo di Durin. Tra i vari nomi, troviamo anche Norþri, Suþri, Austri e Vestri – nord, sud, est e ovest, coloro che reggevano il cielo. La razza dei nani, arrivando fino ad un personaggio di nome Lofar, lascia le montagne verso una nuova dimora, ma questa storia non viene approfondita. Un altro nome nella lista, Dvalin, è citato in un altro poema dell’Edda poetica, lo Hávamál, dove si narra che egli abbia donato delle rune magiche al suo popolo, spiegando probabilmente così le loro abilità (strofa 144).

L’autore islandese medievale Snorri Sturluson, che scrisse l’Edda in prosa, sostiene che essi uscirono dalla carne del gigante primordiale Ymir come vermi, e che poi gli dei li dotarono di intelletto. Possono vivere sottoterra o fra le rocce. Anche la prosa breve dal titolo Sörla þáttr, in cui la dea Freyja dorme con alcuni nani in cambio di una magnifica collana, spiega che essi vivono tra le rocce, o più probabilmente nelle caverne. Per complicare ancora di più le cose, Snorri fa una distinzione tra gli elfi chiari, che vivono in un regno splendido chiamato Alfheim, e gli elfi scuri (svartálfar) che vivono sottoterra, e che quindi potrebbero essere gli stessi nani oppure essere con loro imparentati.

Nel poema Fáfnismál dell’Edda poetica, il drago ucciso dall’eroe leggendario Sigurd sostiene che alcune delle Norne, le divinità che possiedono il dono della profezia e decidono il fato di tutte le creature, siano della famiglia di Dvalin. Generalmente, comunque, la maggior parte dei dvergar sono maschi. Alcuni si trasformano in animali, ad esempio il già citato Fafnir nella leggenda del clan dei Volsunghi (correlata al ciclo continentale dei Nibelunghi), Andvari che vive come un pesce, e Otr, che significa letteralmente lontra, presente nella stessa storia.

Doni dei nani
Il racconto della forgiatura di Mjölnir, il martello di Thor, e di altri oggetti fondamentali è stata trasmessa fino a noi solo dall’Edda di Snorri, una fonte secondaria, ma essendo spesso citati in metafore poetiche, probabilmente hanno origine da fonti più antiche. Nello Skáldskaparmál (“Il linguaggio della poesia”), Snorri ci racconta questa storia per spiegare come mai i capelli di Sif siano definiti d’oro. A Sif, moglie di Thor, vengono tagliati tutti i capelli da Loki per scherzo. Infuriato, Thor costringe Loki a recarsi dagli elfi scuri/nani per farsi forgiare dei capelli d’oro per sua moglie. Loki si reca dai figli di Ivaldi, che crearono anche Gungnir, la lancia di Odino, e Skidbladnir, la nave di Freyr. Loki scommette la propria testa con un altro nano, Brokk, che lui e suo fratello Eitri non saranno in grado di creare tre oggetti altrettanto preziosi.

Quando i nani iniziano il lavoro nella propria fucina, Loki, trasformatosi in mosca, inizia ad infastidire Brokk, che continua comunque a forgiare. Ad un certo punto, però, il nano si ferma per scacciare la mosca che gli tormentava la palpebra: per questo motivo il martello di Thor ha un difetto, ovvero un manico piuttosto corto. Lo portano comunque dagli dei, assieme all’anello Draupnir, che genera altri nove anelli ogni nove notti, e Gullinborsti, un cinghiale magico più veloce di qualunque cavallo. Del martello Mjölnir, essi dichiarano che non mancherà mai un colpo. Dopo aver deciso che esso è effettivamente il regalo migliore, Brokk chiede a Thor di catturare Loki per lui, ma l’ingannevole Loki sostiene di aver scommesso solo la testa, e non il collo: il fratello del nano, Alr, a questo punto sigilla le labbra di Loki con ago e filo.

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