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Il Genere Scilla che deve il nome ad una parola greca che vuole dire ferire, nuocere in riferimento alla velenosità dei bulbi, è conosciuto sin all’antichità. Il nome del genere ricorda il mito di Scilla (colei che dilania) e Cariddi (colui che risucchia), vortici infernali che terrorizzavano i naviganti in transito sulle acque procellose dello Stretto di Messina.
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Scilla, in particolare, come vuole la leggenda, era una bella ninfa trasformata in mostro dalla maga Circe invidiosa dell’amore per Scilla del dio marino Glauco; rifugiatasi sulle coste calabre in un anfratto proteso sullo stretto, con rabbia e ferocia dilaniava ogni navigante di passaggio tranne Ulisse che pur di vedere i due mostri si fece legare all’albero della nave tappandosi le orecchie con la cera per non sentire il richiamo delle sirene. Così Scilla viene descritta nel racconto di Omero:
Odissea, XII
Scilla ivi alberga, che moleste grida
Di mandar non ristà. La costei voce
Altro non par che un guaiolar perenne
Di lattante cagnuol: ma Scilla è atroce
Mostro, e sino a un dio, che a lei si fesse,
Non mirerebbe in lei senza ribrezzo,
Dodici ha piedi, anteriori tutti,
Sei lunghissimi colli e su ciascuno
Spaventosa una testa, e nelle bocche
Di spessi denti un triplicato giro,
E la morte più amara di ogni dente.
La scilla era molto nota agli antichi che le attribuivano poteri terapeutici; veniva utilizzata, soprattutto, per favorisce il riassorbimento di edemi e aumentare la tensione arteriosa, rallentando il polso e promuovendo la diuresi, analogamente alla digitale alla quale solitamente veniva associata ). A Roma per San Giovanni ci si incoronava con varie erbe tra cui la Scilla e Plinio riferisce che Pitagora ne appendesse i bulbi all’architrave della porta come rimedio contro tutti i mali.