L ‘identificazione di certi alberi con ninfe, i rapporti di questi con un dio, e infine le condizioni della loro metamorfosi consentono di capire i pregi e, se così possiamo esprimerci, la personalità che gli antichi attribuivano a quelle specie. Le metamorfosi non sono quindi prive di un significato di cui è opportuno delineare i contorni, perché corrispondono a una lettura, a una interpretazione della natura nell’ambito della quale tutto ha un preciso significato e che definisce il rapporto dell’uomo con le varie specie e perciò il giusto modo di usare ognuna di esse. La più celebre di queste metamorfosi vegetali è quella che fece di Dafne il lauro di Apollo, l’arbusto sacro che aveva una parte importantissima in tutte le manifestazioni religiose e civiche.
Dafne non era la prima delle ninfe sedotte dal Delfico, ma fu la sola che osasse resistergli, la sola, pare, che, certo per il suo rifiuto d’amore, egli amasse. In precedenza il dio aveva avuto da Aria, ninfa del sughero, un figlio a nome Mileto e si era innamorato di un’altra ninfa della quercia, Driope, che gli aveva dato Anfisso. Queste due storie meritano entrambe di essere esaminate da vicino. Aria viene chiamata anche Deione, o Tia. Come non riconoscere in Deione Dione, la dea della quercia oracolare di Dodona, figlia di Oceano e di Teti e perciò nipote di Gea e di Urano? Nella Teogonia di Esiodo, Tia (Theia) la « Divina », è una delle figlie della coppia primordiale e necessariamente incestuosa costituita da
Gea, la Terra-Madre originaria, la divinità onnipotente che ha generato l’universo, e dal figlio amante Urano. Tia era unii delle sei Titanidi, come Teti e Rea, quest’ultima assimilata peraltro a Dione. Tutto questo ci riporta al culto della quercia sacra. Si tratta probabilmente ancora una volta del processo che abbiamo più volte incontrato: il dio degli invasori ellenici seduce la dea indigena della natura e così la soppianta. Proprio a proposito di Apollo, abbiamo ricordato una variante di questa usurpazione. Il figlio di Leto, dovendo affrontare non più dee ma antichi dei locali, li vince nel corso di una contesa musicale. Con le ninfe ricorre alla solita manovra. Aria era una dea del sughero, ma propria dell’ Arcadia.
E noi abbiamo visto, attraverso la storia di Pan, le resistenze che l’insediamento del culto di Apollo aveva incontrato in questa regione arcaicizzante e molto attaccata alle antiche consuetudini. Il seguito della storia dimostra che la macchinazione divina ottenne l’effetto previsto. Il figlio di Apollo e di Aria, Mileto, sedusse a sua volta Minosse, Radamanto e Sarpedone. Ma poiché aveva preferito Sarpedone, Minosse lo cacciò da Creta, da dove egli s’imbarcò per la Caria. Qui fondò la città di Mileto e istituì il culto di suo padre nella stessa Mileto dove sorgeva il Delphion, consacrato ad Apollo di Delfi, e soprattutto a Didime, la città vicina che fu annessa a Mileto e il cui tempio, costruito in un bosco sacro accanto a una sorgente, ospitava il più famoso degli oracoli greci dopo quello di Delfi.
Assai diversa, ma altrettanto istruttiva, è la storia di Driope. Ninfa del monte Eta, nel sud della Tessaglia, il cui nome indica il picchio, in quanto uccello associato con la quercia, Driope viveva in compagnia delle amadriadi, cioè delle ninfe delle querce. Innamoratosi di lei, Apollo si trasformò in tartaruga la stessa parola, khelus, indica in greco la tartaruga e la lira di Apollo costruita in modo primitivo da un guscio di tartaruga.
Le ninfe giocavano con la bestiola che Driope, per scherzo, si mise in seno, ma siccome allora il rettile cominciò a sibilare come un serpente, tutte presero la fuga. Driope concepì un figlio a nome Anfisso che, come Mileto, fondò una città, Eta, evi costruì un tempio per il padre. Ma un giorno le amadriadi vennero a cercare la loro compagna e al suo posto lasciarono un pioppo. Così la quercia che certamente era venerata sull’Età, dato che gli abitanti pelasgici del luogo si chiamavano Driopi, si trasformò in un pioppo bianco.