Verbena dell’amore

(Verbena officinalis)

Questa pianta, alta da 35 a 75 cm, assai poco decorativa e piuttosto insignificante, contrariamente alle varietà orticole, è comunissima nelle scarpate, lungo strade e sentieri, nei macereti, negli incolti; fiorisce da giugno a ottobre. E’ quindi legata al culto del Solstizio d’estate, viene raccolta tra il 21 e il 24 di giugno. In genere la verbena è comune in quasi tutt’Europa, pure in gran parte dell’Asia e dell’Africa, quasi cosmopolita, dato che si è naturalizzata nell’America del nord. Sulle Alpi arriva ai 1500 m di quota.

È una pianta che ha avuto la sua importanza nelle tradizioni magiche e popolari dell’Antichità: era un’erba sacra e magica in Persia, in Grecia, in Britannia, dove i Druidi la veneravano alla stessa stregua del vischio, la raccoglievano quando sorgeva la stella Sirio, solo nel momento in cui il sole e la luna non sono più visibili all’orizzonte; i sacerdoti incaricati di sradicarla dovevano poi versare un filo di miele nel punto dove l’avevano tolta per ricostituire in un certo modo il suolo che ne era stato privato.

È la stessa verbena che i druidi avrebbero utilizzato per trarne indicazioni sul futuro, cantando incantesimi. Le riconoscevano la proprietà di guarire tutte le malattie, annullare il malocchio, suscitare allegria… Era molto venerata dagli antichi che si coronavano di verbena e ne ornavano i loro templi. Dovevano munirsene anche coloro che andavano a cercare i tesori sotto i menhir di Plouhinec.

Nell’antica Roma invece, la pianta, col nome di verbena o verbenaca, secondo quanto scrive Servio, veniva raccolta in un punto sacro del Campidoglio e serviva per cingere il capo del sacerdote consacrato, detto fetialis o pater verbenarius, quando si recava in processione per stipulare un trattato o dichiarare una guerra: sempre Servio dice che si chiamavano così, erroneamente, anche tutte le altre piante sacre, lauro, olivo, mirto, ecc. Per la cerimonia del trattato, il pater verbenarius, col capo cinto di verbena, colpiva con una selce un maiale immolato per l’occasione. Sempre nell’antica Roma si usava far dono di un mazzo di verbena a coloro a cui si voleva augurare la felicità, e ce ne si serviva pure per purificare le case dagli spiriti del male, per pulire le are degli dei, ecc. Apuleio raccomandava di masticarla a digiuno per calmare il mal di denti.

I Greci avevano una grande considerazione per la verbena, consacrata a Venere, per i suoi poteri benefici. Allo stesso tempo aperitivo e digestivo, la verbena stimola lo stomaco a secernere i succhi gastrici ed è utile contro le vertigini, le emicranie e la sonnolenza provocate da una cattiva digestione. E’ tonica, antispastica (utile contro il nervosismo, la tosse, l’insonnia, l’angoscia) e serve per far abbassare la febbre.

Inoltre depura l’organismo, restringe i tessuti e favorisce la guarigione delle piaghe e delle infezioni. È indicata contro le malattie del fegato (itterizia), della milza (congestione), dei reni, affezioni febbrili, debolezza generale, mestruazioni dolorose e irregolari.

Pianta favorita dalla Fortuna. Nei tempi molto antichi era considerata da molti popoli come una potente divinità; da essa potevano derivare la ricchezza e la povertà, la gioia ed il dolore, la felicità e l’infelicità. Dea incostante, più benevola alle donne che agli uomini, aveva il potere di guadagnare alle fanciulle l’amore del loro amato. È la Verbena l’essenza astrale della Bilancia.

Oggi è pianta dalle molte specie, nota alla medicina alternativa. Non solo. Verbena o vermena, è pianta di Venere: capace, sembra, di suscitare una passionalità amorosa sconvolgente. Può influenzare profondamente un soggetto che dorme indifeso: bisogna scegliere le ore notturne di una sera di luna nuova, un lunedì…

Può essere, secondo alcuni, deludente nella realtà, quando cresce spontanea: spighetta verde dai miseri fiorellini celesti viola, dal profumo pressoché inesistente, specie poi se lo si confronta con le profumatissime verbene esotiche, coltivate. Non è comunque deludente nella moderna cosmesi, ne lo è, sembra, come essenza astrale. Sotto questa veste infatti appiana i rapporti dei nati nella Bilancia con i familiari – punto dolente del segno. Favorisce intese amorose, suscita comunicativa, comprensione. Allontana i pericoli, le calamità collettive.

Gli ovati per scacciare gli spiriti malvagi aspergevano le abitazioni con acqua lustrale in cui immergevano un ramo di verbena. Dall’isola di Sein venivano talvolta sul continente per cogliere la verbena alla punta di Lervily in Esquibien.

Una usanza che sopravvive ancora nell’Europa del nord è quella di raccogliere fiori di verbena, farne dei mazzetti tutti dispari e portarli sul cuore per un periodo da tre a nove giorni. Si prepara anche un filtro d’amore prendendo dei petali che si mettono a macerare assieme al miele in un recipiente contenente del vino; dopo sette giorni si filtra e si offre alla persona amata.

Nel nord della Francia veniva chiamata ancora di recente «erba della doppia vista» e si riteneva che favorisse l’esaltazione, l’estasi e il sonno. In Bretagna dove viene chiamata louzaouenn ar groaz, «erba della croce»; si crede che difenda chi la porta da ogni maleficio.

Secondo una voce raccolta da Jules Gros nel Tregor, la verbena serviva a preparare un unguento da denna ar gwad blonsel, per far uscire il sangue stagnante. Avendo cura di metterla prima a bollire nell’aceto, se ne fanno anche impiastri per la lombaggine, la sciatica, il mal di testa. E’ anche il simbolo dell’incantesimo; il Flechier, nella sua Storia di Teodosio, scrive: “Lo stregone più anziano, avvolto da un telo di lino, tenendo la verbena in mano, avanzava e cominciava le sue invocazioni”. Per gli Antichi era ancora una pianta sacra a Venere e con essa si preparavano filtri d’amore. Non era ignorata neppure dalla stregoneria: i Galli la chiamavano ‘veleno del diavolo’ e, dopo averla raccolta nelle tenebre (ricordo del rito druidico, se ne servivano per spargere l’acqua benedetta. In Inghilterra poi, la si distribuiva un tempo nella notte di San Giovanni, come pianta di buon augurio, e i giovani ballavano con ghirlande di agrifoglio e di verbena.

La stessa cui si riconoscevano doti medicamentose; ce lo conferma Giovanni da Milano: «Finocchio (verbena, rosa, chelidonia forma un’acqua che dà vista acuta». E’ stata simbolo del suolo natio: erbetta che cresce raso terra, che si porta la terra via con se, fra le radici fortemente abbarbicate, quando viene strappata. È naturale quindi che, nell’antichità, le siano state attribuite virtù medicinali; per lungo tempo si è giurato sugli effetti portentosi che avrebbe avuto la radice, portata appesa al collo, per guarire dalla scrofolosi. Avrebbe poi fatto passare le febbri: per la febbre terzana bisognava prendere la terza giuntura a partire dalla base, la quarta invece per la febbre quartana, poi strapparla e prendere un’infusione.

Oggi, la delicata verbena non serve più, anche se è astringente, cicatrizzante, risolutiva, e senza dubbio febbrifuga per via di un suo glucoside, la verbenalina, che per alcuni è ancor meglio del chinino. Servirebbe anche in certe malattie nervose. È, infine, una pianta mellifera.

All the images on this web page are trademark and artwork of Brian Froud . © Brian Froud. Visit WorldofFroud.com for more on this artist.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *