Thomas di Ercildoune, il rimatore

Thomas di Erceldoune o Tommaso il Rimatore (Thomas the Rhymer) visse nella Scozia del tredicesimo secolo. Nacque probabilmente tra il 1210 e il 1220 ed è possibile che sia sopravvissuto fino al 1307. Tommaso era celebre come poeta e profeta in tutta l’Inghilterra e la Scozia. Robert Manning di Brunne, un suo contemporaneo, lo celebrò quale autore di “un’incomparabile narrazione della storia di Tristano”
Quale profeta, Tommaso suscitava rispetto e persino timore. Sulle sue spalle restava traccia del mantello dell’antico bardo celtico. Una tradizione dell’Aberdeenshire ci offre un’ indimenticabile immagine della sua comparsa davanti a Fyvie Castle, le cui porte erano rimaste spalancate “quant’erano ampie” per sette anni e un giorno, in attesa dell’arrivo del “Buon Tammas”.

E all’improvviso egli apparve, accompagnato da una furiosa tempesta di vento e pioggia che strappava le foglie dagli alberi circostanti e che serrò le porte del castello con grande fragore.
Con voce tonante, Tommaso annunciò la rovina di Fyvie. La tempesta continuò a infuriare attorno a lui, ma nel punto in cui egli stava non c’era abbastanza vento per muovere un filo d’erba o un pelo della sua barba. L’esattezza delle profezie di Tommaso suscitò vasta ammirazione. Quando Giacomo VI salì sul trono inglese, Robert Birrell scrisse nel suo diario che «tutte le genti di Scozia in grado di leggere o intendere ogni giorno parlavano e interpretavano le profezie di Tommaso il Rimatore e altre di tempi antichi». E ciò perché Thomas aveva predetto l’unione di Inghilterra e Scozia nella persona del nono discendente di Robert de Bruce, e questo trecento anni prima dell’evento!

Le profezie furono oggetto di estasiate attenzioni anche durante la sollevazione giacobita del 1745. Le Profezie complete di Tommaso il Rimatore continuarono a essere pubblicate in forma di raccolta di racconti e poesie popolari fino all’inizio del diciannovesimo secolo, quando poche erano le fattorie di Scozia in cui non se ne trovasse una copia.
Come poté Tommaso acquisire poteri così straordinari? Una domanda alla quale darà risposta un attento studio della Ballata e Narrazione di Tommaso il Rimatore. La Ballata fu fissata in forma scritta per la prima volta all’inizio del diciannovesimo secolo in due versioni leggermente diverse. I curatori di entrambe le credevano derivate da una fonte genuinamente antica.
La Narrazione invece fu completata poco dopo il 1400 (vale a dire circa cent’anni dopo la morte del Rimatore), e non è del tutto escluso che la sua fonte originaria fosse un’opera dello stesso Tommaso.
Entrambi i poemi sono di tale importanza quali esempi di folclore feerico, che nella prima Appendice ne abbiamo fornito una traduzione. Le due opere inducono a credere che gli arcani poteri di Tommaso vadano individuati nel suo catalitico incontro con la regina di Elfilandia “all’albero di Eildon”.

La Ballata racconta la storia come segue: Tommaso giace addormentato su una proda erbosa ai piedi dell’albero di Eildon, un biancospino da lungo tempo sacro ai poteri delle fate. Alzando gli occhi, scorge una “lieta signora” che gli viene incontro cavalcando sul pendio della collina coperta di felci. La dama è di incomparabile bellezza, indossa una gonna di “seta verde erba” ed è in groppa a un “destriero bianco latte”, la cui criniera è intrecciata a campanelli d’argento. Forse è stato il suono di questi sonaglietti che tintinnano per il movimento del cavallo a ridestare Tommaso dal suo sonno. Tommaso balza in piedi, si toglie il cappello, fa un profondo inchino e saluta la straniera:

Salute a te, che devi essere regina del Cielo!
Ché simile a te in terra mai ho visto nessuno
!

La regina subito lo corregge. Lei non è la regina del Cielo, bensì la “regina della bella Elfilandia”, e Tommaso deve andare con lei e servirla “nel bene e nel male” per un periodo di sette anni.
Tommaso non esita. Balza sul cavallo dietro di lei, e via se ne vanno con i sonagli che scampanellano mentre volano più veloci del vento. Il mondo ordinario, quotidiano, della Terra di mezzo resta lontano alle loro spalle e il sole e la luna si eclissano quando i due guadano un grande fiume di sangue che giunge “al ginocchio”. In quella tenebra non si ode altro suono che il persistente “fragore del mare”
Per quaranta giorni e quaranta notti continua questa condizione, poi, all’improvviso, eccoli riemergere alla luce, non la luce del sole o della luna, bensì la morbida radianza dell’interno della terra. Si trovano in un bel giardino, e di fronte a loro sta un melo. Tommaso si offre di coglierne i frutti per darli alla dama.

Ma lei ancora una volta lo ammonisce. Tutte le calamità dell’inferno, spiega, sono contenute nei frutti di quel paese.

Tuttavia, rendendosi conto della fame di lui (nulla di sorprendente, dopo quaranta giorni e quaranta notti di cavalcata continua), la dama trae dal proprio grembo una pagnotta e una bottiglia di chiaretto che i due condividono. Terminato il pasto, la dama invita Tommaso a riposarsi con la testa sulle sue ginocchia. E mentre lui si accomoda, lei gli svela tre meraviglie. Sono le tre strade: l’ampia strada del vizio, che alcuni scambiano per la strada del Cielo; la stretta strada della rettitudine, coperta di spini e di rovi; e la “bella” strada per l’amena Elfilandia che serpeggia sul pendio collinare di fronte a loro.

E alla volta di Elfilandia che Tommaso e la dama devono partire quella notte stessa. Ma, prima che si mettano in cammino, lei lo avverte: quali che siano le meraviglie che gli capiterà di vedere in quel paese, deve tenere a freno la lingua perché, se pronuncia anche una sola parola, non ritornerà mai al suo mondo.

La Ballata non ci offre nessuna visione di Elfilandia. Nella parte finale della composizione, vediamo Tommaso con indosso un mantello verde di bella stoffa e scarpe di velluto verdi, doni della regina di Elfilandia a ricompensa dei suoi servigi. A quanto sembra, a questo punto Tommaso è pronto a tornare nella Terra di mezzo per cominciare la sua prodigiosa carriera di poeta e profeta. Porta con sé tutti i poteri delle fate, compreso un ultimo e preziosissimo dono della regina: la lingua che non può mentire.

Ballata Thomas Rymer and Queen of Elfland
Traduzione italiana di Cattia Salto
I
Thomàs il veritiero sulla riva di Huntley 
vide arrivare una dama cortese,
una dama fresca e fiera
che cavalcava sulla collina di felci.
II
La gonna era di seta verde come l’erba,
il manto di velluto fine,
alla criniera del cavallo appese
cinquantanove campanelli d’argento
III
Si levò il cappello Thomàs il veritiero
in un profondo inchino
«Salute, potente Regina dei Cieli!
che non vidi mai d’eguale sulla terra».
IV
“Oh no, no, Thomas”, dice lei.
quel nome non mi si addice
sono la regina nella bella terra degli Elfi,
e sono venuta a vederti.
V
«Ora vieni con me, Thomàs,
Thomàs il veritiero, vieni con me,
mi servirai sette anni 
nel piacere e nel dolore e così sia»
RITORNELLO
“Suona l’arpa e canta, vieni via con me
Thomas il rimatore
Suona l’arpa e canta, vieni via con me
Thomas il rimatore”
VI
Voltò il suo destriero bianco latte,
fece salire Thomas dietro,
ad ogni colpo di briglia
il destriero correva più veloce del vento
VII
Per quaranta giorni e quaranta notti
sguazzarono nel sangue rosso fino al ginocchio;
e non videro sole nè luna,
ma udirono il fragore del mare
VIII
E corsero e corsero,
il destriero andava più veloce del vento
finchè raggiunsero una radura deserta
e la terra dei viventi fu alle loro spalle
IX
Non vedi forse quella stretta strada,
così stretta tra spine e rovi?
Quello è il sentiero della rettitudine,
quello cercato però da ben pochi.
X
E vedi quella strada molto larga
che corre diritta tra i cespugli di gigli?
Quella è la strada del male,
benchè qualcuno lo chiami via del cielo.
XI
Vedi la strada graziosa,
che serpeggia tra la collina di felci?
Quella è la strada per il Regno degli Elfi
dove tu ed io andremo questa notte”

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And Patron’s La Belle Dame sans 
Testi tratti da ” La Via delle Fate” di Hugh Mynne

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